lunedì 3 agosto 2015

Quando i conti non tornano: il mistero dell'oro mancante cinese...

La tempesta perfetta sembra essersi abbattuta sul settore delle commodities, preannunciata da tuoni tipicamente estivi che, per alcune delle materie prime duravano però da tempo.


L’oro, ormai in calo da tempo, all’interno del variegato mondo delle altre commodities il cui superciclo, vero o presunto che fosse, si è arenato sui minimi da circa 10 anni. A spaventare sono stati i dati arrivati dalla Cina ovvero quelle riserve auree al di sotto di quasi la metà rispetto a quanto ci si attendeva da una superpotenza mondiale che ha fama di voler investire nel metallo giallo. Le 1.658 tonnellate di oro di Pechino, contro le circa 3000 attese, però, suonano ancora un po’ strane, ancora di più se si pensa che guardando alla classifica delle riserve aurifere dei vari paesi, Pechino sta dietro Roma. E non tanto per i numeri che sono troppo inferiori rispetto alle attese (cosa già di per sè sospetta) bensì per le modalità che le hanno create. 

Il segretario generale della Associazione dell’Oro Cinese, Zhang Bignan, ha recentemente dichiarato riserve auree per circa 9.800 tonnellate. Eppure le esportazioni sono al minimo.

Diverse sono le spiegazioni plausibili, che vanno dal possesso di oro in mano ai privati fino a quello custodito nelle varie banche cinesi. Pechino, per tradizione, ha un complesso sistema di credito e tra le varie istituzioni sono da annoverare le banche statali cinesi come la Banca Cinese per l’Agricoltura, quella per le Costruzioni, per lo Sviluppo e per l’Industria, solo per citare le più importanti all’interno di un sistema burocratico altrettanto complesso ed elefantiaco.

Senza contare il Fondo cinese che si occupa del commercio estero. Insomma la presenza “ufficiale” dell’oro sul territorio del Celeste Impero potrebbe essere molto più ampia di quanto dichiarato e per più di un motivo: l’oro all’interno dei confini nazionali può sempre essere un’ottima assicurazione in caso di mercati volatili come quelli attuali e ancora di più se disponibili immediatamente. 


Inoltre non c’è da dimenticare che la Cina ha da tempo creato la Banca Asiatica di Investimento per le Infrastrutture (AIIB) il cui scopo principale potrebbe essere quello di fare diretta concorrenza alla Banca Mondiale e al Fondo Monetario Internazionale, di fatto in mano agli Usa i quali, nell’organizzazione di Christine Lagarde, hanno un potere decisionale pari al 16% del peso tra le nazioni. 

Non solo, ma una prospettiva creata dall’AIIB sarebbe quella di puntare i fari sull’Asia ma anche sui paesi emergenti in generale. In questo caso una riserva aurea per potenziarne il peso in ambito internazionale fa sempre comodo.

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